Serafina Baldeschi: scenografa e costumista
Serafina Baldeschi nasce a Borgo Pace (PU) il 6 aprile 1951. Si diploma all’Istituto Statale d’Arte F. Mengaroni di Pesaro con una specializzazione in Moda e Costume teatrale. Nel 1973 consegue il Diploma all’Accademia di Belle Arti della città feltresca, Sezione di Scenografia. Nello stesso anno comincia la sua carriera di costumista e scenografa che la porterà su alcuni dei più importanti palcoscenici italiani e d’Europa. L’artista ha collaborato alla realizzazione di numerosi spettacoli, partecipando a mostre, rassegne, laboratori teatrali e festival, in collaborazione con maestri come Luca Ronconi, Franco Quadri, Gae Aulenti, Giorgio Di Tullio, per citarne alcuni. Dal 1975 comincia la sua attività di insegnante all’Istituto Statale d’Arte di Arezzo, per passare poi all’I.S.A di Pesaro nel 1984, scuola presso la quale è stata a lungo impegnata nella realizzazione del progetto “Teatro scuola”. Nel 2008 è stata invitata dall’Università di Urbino a tenere una conferenza dal titolo L’abito come espressione poetica. Ha partecipato a importanti ricerche teatrali con il Teatro Cust2000 interagendo a alcune indimenticabili messe in scena come La Merenda (da La Recherche di Proust), Gnosis (dai Vangeli Gnostici) e San Paolo (da Pasolini), senza dimenticare il mirabile lavoro eseguito per La Fortuna di M. Cvetaeva, spettacolo presentato a Roma presso il Teatro Tordinona (maggio 1995), a San Pietroburgo, presso il Teatro Statale Vejera Kommissarjeiska e ad Avignone alla 50° edizione del Festival OFF nel 1996.
L’essenza del lavoro di Serafina Baldeschi si traduce nella poetica del gesto. Facendo proprie le pratiche dell’Arte Povera e condividendone soprattutto la condizione teorica, l’artista crea l’immagine che è “reale percezione del contingente” (Michelangelo Pistoletto). Pensare e fissare, percepire e presentare: l’oggetto del fare artistico è la costruzione dell’idea intuita, la tensione verso l’infinito intellegibile nella materia. La prassi, nella costruzione dei consumi, è l’agire libero che relega la mimesis a fatto funzionale e secondario all’idea e al significato empirico dell’immagine. In una totale identificazione tra uomo e natura, Serafina Baldeschi sceglie i “materiali”, o meglio sono i materiali che scelgono lei, e li impiega in un processo sottoposto a una sorta di anarchia linguistica. Il materiale si tras-forma assumendo il ruolo di significante dell’idea dell’artista decostruito e ricomposto attraverso una processualità trans-linguistica. La condizione di astoricità, lo stato di deculturazione, la concezione dell’immagine allo stato “pre-iconografico” contraddistinguono l’opera di Serafina Baldeschi nella sua adesione all’Arte Povera. Il re-impiego, la re-invenzione coincidono con l’idea originale, che esprime interamente la sua essenza nella forma del significante. L’artista si pone come tramite fra la “vita” e l’arte trasferendo nell’oggetto la proiezione di sé che diviene opera nell’affermazione del presente e del contingente. Procede all’eliminazione delle sovrastrutture culturali e storiche per privilegiare l’atto mentale e comportamentale in un ambito di forte interesse antropologico. La presentazione del significato fattuale è un ritorno al Medioevo. Da un punto di vista tecnico Serafina Baldeschi lavora sulla bidimensione, come gli uomini d’allora e, con la stessa artigianale adesione alla materia e alla cura della forma, costruisce l’ ”opera”, nell’intento di rappresentare l’idea, comune denominatore con l’uomo medioevale. In tal modo si esplicita per l’una il tentativo di proiettare il proprio progetto nella materia-immagine, per gli altri, la tensione ad estrinsecare nell’opera la concezione metafisica dell’universo. E’ la stessa artista ad affermare: “Di fronte alla decostruzione del sacro, attraverso la bidimensione è comodo e funzionale perché il sacro è fluido e pluriflessibile e inafferrabile, liquida la possibilità di operare sul reale”.
Testo critico di Sara Bartolucci